La scuola italiana è ancora lontana dagli obiettivi europei. Troppi gli alunni che lasciano i banchi precocemente, pochi i giovani in possesso di un diploma, pochissimi gli adulti impegnati in attività di “apprendimento permanente” e, ancora una volta, troppi i ragazzini che incontrano serie difficoltà a comprendere quello che leggono: gli analfabeti di ritorno che hanno fatto tanto discutere non più di qualche mese fa. Unico segnale positivo arriva dai laureati nelle facoltà scientifiche che crescono, ma non quanto dovrebbero.
Per raggiungere gli obiettivi prefissati dall’Unione Europea c’è ancora tanto da fare e il 2010 si avvicina. Il quadro tutt’altro che positivo emerge dall’ultima relazione della Commissione Europea sullo stato d’avanzamento del programma “Istruzione e formazione 2010”.
Cinque le aree strategiche scandagliate. (Competenze-chiave, Dispersione scolastica, Numero di giovani che hanno raggiunto almeno il diploma, Partecipazione degli adulti a corsi di istruzione permanente e Spesa pubblica per l’istruzione). In quasi tutte le graduatorie, malgrado alcuni progressi registrati negli ultimi anni, l’Italia occupa le ultime posizioni. Come nella capacità di “comprensione del testo” mostrata dai quindicenni italiani. La percentuale di coloro che non superano il primo livello (il più basso) del test Pisa (“Programme for International Student Assessment”, programma per la valutazione internazionale dell’allievo) per la lettura è enorme: il 23,9 per cento, nel 2003, contro il 18,9 del 2000. I giovani italiani risultano “più bravi” soltanto dei compagni provenienti da Grecia e Slovacchia. La media europea si attesta 4 punti più in basso (19,8 per cento), ma l’obiettivo comunitario è ancora lontano.
Dispersione scolastica. I dati si riferiscono al 2004. La percentuale di giovani italiani di età compresa fra i 18 e i 24 anni in possesso “solo del diploma di secondo grado inferiore”, la nostra licenza media, e che non frequentano neppure la formazione professionale – sono cioè definitivamente usciti dal sistema formativo – è ancora alto. Dei 25 paesi dell’Europa “allargata”, ci superano solo Malta, Spagna e Portogallo. Quasi un quarto (il 22,3 per cento, in calo rispetto al 2000) della popolazione di riferimento è in possesso della sola licenza media: titolo considerato a livello europeo del tutto insufficiente per affrontare le sfide sociali, economiche e lavorative del terzo millennio. La media europea è di gran lunga inferiore (15,7 per cento) e basta il confronto con paesi come la Francia (al 14,2 per cento) e la Danimarca (8,1 per cento) per darci la misura della quanta strada ancora c’è da percorrere.
Dati abbastanza recenti anche per i giovani in possesso almeno della maturità. In Italia, nel 2004, erano quasi 73 su 100 i giovani fra i 20 e i 24 anni in possesso del diploma. Ancora quartultimi, con la media europea più bassa di 4 punti, la Norvegia oltre il 95 per cento è l’obiettivo del programma “Istruzione e formazione 2010” è lontanissimo. Per vincere la sfida del futuro, non solo economica, l’Europa punta sul cosiddetto lifelong learning (l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita) che coinvolge gli adulti nella fascia d’età 25-64 anni. In Italia (dati 2004) sono ancora pochissimi gli adulti coinvolti in specifici programmi di apprendimento. Appena il 6,8 per cento, contro il 27,6 percento della Danimarca, il 10 per cento dell’Ue, il 24,6 della Finlandia e il 35,8 della Svezia.
Infine, gli investimenti pubblici nel sistema educativo: gioia e dolore dei governi di tutto il mondo. Nel 2000, l’Italia ha investito in educazione il 4,57 per cento del Pil, un anno dopo nel 2001 il 4,98 per cento, ma nel 2002 l’investimento cala al 4,75 per cento: mezzo punto in meno della media europea. Parecchio indietro rispetto a paesi come la Norvegia (7,63 per cento) la Francia (5,81), l’Inghilterra, la Polonia, il Portogallo e gli Stati Uniti.
I benchmark (i livelli di riferimento prefissati). Nel 2000 l’Unione Europea, per quanto riguarda l’istruzione e la formazione nei paesi membri, ha fissato alcuni obiettivi da raggiungere entro il 2010. Durante la marcia di avvicinamento sono stati apportati alcuni correttivi ed è stato stilato il programma “Istruzione e formazione 2010”.
Entro il 2010, la percentuale di quindicenni che fanno registrare difficoltà nella lettura e nella comprensione del testo (livello 1 del test Pisa) deve essere inferiore al 15,5 per cento, nel 2003 l’Italia si attestava al 23,9, l’Europa al 19,8. La percentuale di 18-24enni in possesso di un diploma di livello inferiore (la terza media) deve scendere al 10 per cento. Nel 2004, l’Europa si attestava al 16 per cento e l’Italia al 22,3. Anche il numero di diplomati deve crescere sensibilmente: entro il 2010, la media europea dei 20/24 enni deve registrare una percentuale superiore all’85 per cento. Dalle nostre parti, nel 2004, la cifra era di 72,9. Stessa cosa per gli adulti impegnati in programmi di istruzione permanente. Occorre raggiungere mediamente il 15 per cento. Nessun paese deve, inoltre, registrare livelli inferiori al 10 per cento. Il 6,8 per cento italiano del 2004 è ancora piuttosto lontano. Devono anche aumentare i laureati delle facoltà scientifiche (Matematica, Scienze e Tecnologia). L’Italia entro il 2010 ne deve contare, in luogo dei 66,8 mila del 2004, ben 79 mila. In questo campo sono stati fatti dei sensibili progressi, ma ancora occorre lavorare.
L’obiettivo di Lisbona 2000 e i rischi. “Nel marzo 2000 il Consiglio europeo di Lisbona ha fissato il seguente obiettivo strategico: l’Europa deve diventare entro il 2010 ‘l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale’. Tale obiettivo ha dato un impulso decisivo a una cooperazione più stretta a livello europeo in materia di istruzione e formazione”. È il parere del Comitato economico e sociale europeo del giugno 2003. Il mancato raggiungimento di questi obiettivi cosa produrrà, secondo gli esperti comunitari?
La risposta si trova nella relazione sullo stato di attuazione del programma “Istruzione e formazione 2010” dello scorso dicembre. “L’Europa si trova oggi ad affrontare enormi sfide socioeconomiche e demografiche, associate all’invecchiamento della popolazione, all’alto numero di adulti con scarse qualifiche, all’alto tasso di disoccupazione, ecc. Al contempo vi è una necessità crescente di migliorare il livello delle competenze e delle qualifiche sul mercato del lavoro. È necessario rispondere a queste sfide per migliorare la sostenibilità a lungo termine dei sistemi sociali europei. Istruzione e la formazione sono parte della soluzione a questi problemi”.
Scuola e università al centro della crescita sociale, non solo quindi questioni economiche. “È dunque particolarmente preoccupante che, malgrado il rapido raggiungimento del benchmark in materia di laureati in Matematica, Scienze e Tecnologie raggiunto, siano invece troppo pochi i progressi riguardi ai benchmark più strettamente legati all’inserimento sociale”. Ecco i rischi di un sistema di istruzione e formazione non adeguato. “Se non verranno dedicati molti più sforzi – si legge nella relazione – a temi quali la dispersione scolastica, il completamento dell’insegnamento secondario superiore e le competenze chiave, una quota maggioritaria della prossima generazione dovrà affrontare l’emarginazione sociale, e il conto verrà pagato dagli interessati stessi, dall’economia europea e da tutta la società”. Una prospettiva tutt’altro che rosea. “Investire nell’istruzione e nella formazione costa – affermano i tecnici – ma a lungo termine le ripercussioni positive in termini individuali economici e sociali bilanciano le spese sostenute”. Chi vuol sentire senta.
(Fonte: Repubblica.it, 17 gennaio 2006)