È accaduto a Sassuolo, alle dieci di una domenica mattina. Una pattuglia di carabinieri arresta un marocchino ubriaco. È ferito al capo, sanguina, non vuole salire sulla macchina, si denuda. I militari allora lo picchiano duramente a pugni e calci. Assiste alla scena un gruppo di immigrati, uno la riprende con un videofonino.
Le immagini arrivano nel mio studio via Internet dieci giorni dopo. Sono immagini di comune violenza, che potrebbero arrivare da ogni parte del mondo violento, dalla grassa pacifica Emilia come da Bagdad o dalla Colombia o da New York.
Certo, i carabinieri sono costretti spesso a fare un lavoro oscuro e ingrato, in questo caso devono far cessare gli schiamazzi e le minacce che un uomo seminudo, ubriaco, probabilmente violento e psichicamente disturbato lancia da una strada di Sassuolo. Ma è un uomo inerme, e ormai innocuo: nulla giustifica che gli piombino addosso e lo riempiano di botte, alla faccia, al ventre, alle gambe mentre urla come una bestia ferita.
Qualcuno può pensare che siano i danni collaterali dell’immigrazione, un fenomeno sociale di cui nessuno può assumere la piena responsabilità, una sciagura naturale, qualcosa come lo Tsunami o l’effetto serra, il mare che spazza via le città, il ghiaccio che si scioglie e che una certa dose di durezza in casi come questo sia inevitabile.
Ma è impensabile rassegnarsi a questa inciviltà: vedere tre signori in divisa avventarsi su un poveraccio, saltargli addosso di peso, farlo rimbalzare a pugni da uno all’altro. È mai possibile? Eppure accade a Sassuolo, di domenica, all’ora della Santa Messa, dello stracotto che sfrigola sul fuoco, dell’Olimpiade in televisione.
A forza di botte quel corpo seminudo sull’Alfa blu dei carabinieri sparisce in direzione della caserma. Non si sa bene che morale trarne se non che viviamo in un terribile mondo, dove i carabinieri pensano di potersi permettere questo lavoro di spazzini e un povero cristo arrivato dal sud del mondo andrà – massacrato – a ingrossare il popolo dei carcerati, in cinque o sei per cella, processati chi sa quando.
Una storia di comune, triste violenza, disvelata per caso e per protesta civile da un cittadino che ha ripreso la scena col telefonino. L’Arma per ora ha solo trasferito e messo in ferie i responsabili: ma dovrebbe essere ferma e chiara nel punire metodi simili. Il rischio, altrimenti, è che cresca l’idea di un’impunità inaccettabile.
(Fonte: Giorgio Bocca, la Repubblica, 28 febbraio 2006)