4 Marzo 2006

Pepite fritte per contorno

Diario

Ieri ho pranzato in un ristorante di Milano. Elenco le cose che ho mangiato e i prezzi rispettivi, che riporto anche in lire tanto per dare un idea anche fonicamente migliore dell’assurdo. Dunque: una tartare di manzo, quarantatre mila lire (22 euro); un piatto di patate fritte, tredicimilacinquecento lire (7 euro); una birra media, undicimilacinquecento lire (6 euro); un caffè, quattromila lire (2 euro). Ora, al di là di ogni statistica ufficiale, io so che chiunque di noi si fosse sentito chiedere quattordicimila lire per una porzione di patatine fritte prima del 2002 avrebbe direttamente chiamato la polizia. Mi piacerebbe davvero sapere se i ristoratori di Milano, così come i tassisti, i commercianti (parliamo di scarpe?), i medici e i liberi professionisti in generale abbiano agito così, all’unisono, da soli o se non ci sia stata un anche implicito via libera dalle associazioni di categoria. Perché, al di là della vergognosa assenza di controlli da parte del governo, credo che una notevole parte della responsabilità di questa rapina collettiva da parte di metà della cittadinanza contro l’altra metà (i lavoratori dipendenti) ricada proprio su chi – come le associazioni di categoria e gli ordini professionali – avrebbe il dovere di operare controlli e non di agire in un’ottica corporativa. Il programma dell’Unione contiene interessanti proposte in tema di ordini professionali e di concorrenza, staremo a vedere se la potente lobby degli ordini ce la farà anche questa volta ad impedire, come già nel 1996, ogni riforma.