Sul Corriere della Sera, l’Onorevole Rutelli dice le seguenti incredibili cose a proposito di Vladimir Luxuria: Il centrosinistra ha candidato molte migliaia di persone, tra queste non considero per nulla un’anomalia una figura certamente eterodossa come Luxuria. Siccome non sara un candidato ma un eletto, c’e una sua maggiore responsabilità nel far seguire al suo percorso di vita fin qui trasgressivo un comportamento più responsabile, quello che si aspetta non una minoranza come quella transgender a cui fa riferimento ma la maggioranza degli italiani perche chi si candida lo fa per rappresentare la maggioranza degli italiani.
A parte il fatto che chi si candida e viene eletto rappresenta non certo la maggioranza degli italiani ma la totalità degli stessi (e che Rutelli si confonda su questo non trascurabile punto fa capire quanto a loro agio si possano sentire le minoranze in questo paese con governanti di ogni colore) c’è una storia che vorrei raccontare.
Conosco Vladimir da moltissimi anni, venticinque o più. Abbiamo avuto infatti l’avventura di crescere tutti è due a Foggia e di passare lì la nostra adolescenza. Lui era Wladimiro, l’unico gay dichiarato della mia generazione, Wladimiro, il ricchione. Io invece uno del Lanza, il liceo classico, uno di buona famiglia. Nessuno ci ha mai presentati, ma io lo conoscevo benissimo perché era in qualche modo famoso, e lo conoscevo benissimo per tenermene il più possibile alla larga terrorizzato com’ero dall’idea che frequentandolo qualcuno potesse anche solo pensare che anche io, quello della Foggia bene, ero un ricchione.
E d’altro canto, in qualche modo in cuor mio lo ammiravo. Per il suo coraggio, per la sua capacità di andare avanti per la sua strada, e senza mai nascondersi, senza vergognarsi. Vivendo certamente la violenza della stupidità altrui, ma mai il giogo della paura. Io ero uno schiavo, lui era libero.
Altro che trasgressivo e irresponsabile. Wladimiro, anzi Vladimir, è stato per me un grande esempio di dignità e di coerenza, in un paese che non premia né l’una né l’altra, come sanno bene alcuni nostri potenti che hanno fatto del proprio trasformismo una professione. C’è una frase bellissima di Eleanor Roosevelt che dice: Nessuno può farci sentire inferiori senza il nostro consenso. Ecco, quel consenso Vladimir non l’ha certamente mai dato a nessuno.
L’ho rincontrato dietro al palco della manifestazione dei Pacs, a Roma in Piazza Farnese, in una freddissima sera di gennaio. Ci siamo guardati e salutati. Ciao Vladimir, ciao Ivan. Io gli ho detto: “Ma lo sai che sono di Foggia” e lui mi ha sorriso e mi ha detto “Ma certo che lo so”. Sono certo che mi sbaglio ma mi è sembrato che con lo sguardo mi dicesse “Ce ne abbiamo messo di tempo, eh, per cominciare a salutarci!”. E mi sono fatto piccolo piccolo sotto il peso di tutte le volte che ho girato la testa, da ragazzino, quando lo apostrofavano in pubblico o lo insultavano in privato. Avrei voluto abbracciarlo, ma non l’ho fatto. Aveva un bellissimo abito da sposa.