Il mio pezzo per “Il Post”, oggi.
Per alcuni mesi ho abitato a Londra dalle parti di Marble Arch, una zona molto abitata da persone – spesso molto facoltose – di origine mediorientale e camminando per Oxford Street mi sono imbattuto migliaia di volte in donne completamente coperte dal velo. Donne velate in modo più o meno estremo se ne vedono in tutta la città, ma in quella zona sono davvero moltissime e, insieme a quelle che magari col velo portano l’occhiale di Gucci o lasciano sapientemente intravedere l’unghia perfettamente laccata o il piede nudo calzato da un sandalo di Manolo Blanhik, ci sono anche quelle che tentano di muoversi completamente intabarrate in questi sarcofagi di stoffa nera dal quale emergono al massimo gli occhi.
Non so quante volte mi sono chiesto fino a che punto si possa lasciare a qualcuno la libertà di farsi schiavizzare e umiliare e ricordo bene una discussione accesissima con un conoscente (un medico, inglese fino all’osso) che mi accusava con veemenza di non capire che le donne occidentali non sono meno violentate, quando la nostra cultura le fa scoprire eccessivamente, di quelle arabe quando la loro cultura le fa coprire eccessivamente. Mi aveva poi molto colpito il bellissimo servizio di Zita Dazzi, uscito su Repubblica qualche mese fa, nel quale raccontava della sua esperienza un giorno che si era messa un burqa e aveva cominciato a girare per Milano facendo cose elementari della vita, come prendere il metrò.
Adesso la Francia, seguendo l’esempio del Belgio, sta per varare il divieto per legge, con sanzioni molto pesanti soprattutto nei confronti dei maschi che impongono il velo integrale alle proprie figlie e compagne ma sanzionando anche le stesse donne. La sinistra francese, e non so perché questa cosa mi è suonata dolorosamente familiare, invece di votare in qualche modo, è uscita dall’aula. Io credo che abbia fatto male. E credo che quella legge sia giusta. Lo credo con il cuore lacerato, perché per istinto mi viene comunque da schierarmi in difesa della libertà di ogni adulto di fare della propria vita ciò che vuole. In questo caso, però, davvero non riesco ad accettare razionalmente che un essere umano possa genuinamente e in modo davvero indipendente decidere di limitare la propria libertà fino a perdere anche la possibilità di respirare, perché lì sotto anche respirare non dev’essere semplice. Quel velo che seppellisce mi pare una forma di orrenda sottomissione, esattamente come lo sono le mutilazioni genitali femminili.
Io credo che una società laica non debba avere paura di fermare tradizioni anche millenarie e di indicare una strada di parità vera, anche se questo richiede il coraggio di modificare una cultura in modo sostanziale. Se non avessimo fatto questo, qui da noi le donne dovrebbero ancora (per dirne solo alcune) chiedere l’autorizzazione maritale per stipulare negozi giuridici, non avrebbero la potestà sui figli che partoriscono, sarebbero di per sé penalmente perseguibili per l’adulterio e non potrebbero accedere alla magistratura. Quella lì era la tradizione: fortuna che abbiamo avuto il coraggio di mettercela per sempre alle spalle.
4 risposte a “Perché è giusto vietare il burqa”
Capisco la tua lacerazione, scalpha, ed in effetti, abituato alle tue abituali aperture, questa presa di posizione un po’ mi sorprende. Il parallelo con le mutilazioni genitali credo sia francamente azzardato e, se è vero che è inaccettabile l’imposizione del velo ad una figlia da parte del padre, a me sembra altrettanto inaccettabile imporre di non indossarlo a chi, adulto, lo desideri.
Anche se a noi occidentali il velo integrale provoca un certo fastidio (forse il problema è il nostro), non puoi essere nella testa di tutte le donne che lo indossano e sentenziare che è impossibile che la decisione sia spontanea ed indipendente, semplicemente perché non hai la possibilità di verificarlo e spesso ho sentito dichiarazioni di donne in questo senso, anche qui in occidente.
Assumere una propria visione come fosse La Verità oggettiva può essere pericoloso: lo stesso principio secondo il quale si arriva a negare che tra due persone dello stesso sesso possa esistere amore e si possa dunque aspirare ad un riconoscimento di questo sentimento da parte della società.
Il superamento di tradizioni millenarie avviene attraverso l’evoluzione autonoma di un popolo, una sua spontanea maturazione e non per imposizione: la legge prende corpo in seguito a questa maturazione.
L’occidente è spesso percepito come quel tipo di cultura che, ritenendosi superiore, cerca di imporre la sua visione: il rischio, in questo tipo di iniziative, è proprio quello di provocare un rafforzamento del comportamento che si vuole proibire favorendo l’attribuzione allo stesso di un carattere identitario da difendere con forza dall’invadenza altrui. Insomma lasciamo alla Santanché le abituali esecrazioni scomposte sul velo integrale che mettono a dura prova la tenuta dei suoi lifting. Rimaniamo SEMPRE a favore della libertà individuale quando non lede i diritti altrui: essere laici vuol dire anche questo.
Concordo pienamente.
Veramente ridicola la critica del tuo amico medico inglese che disegnava una parallelo tra la violenza della società islamica che obbliga la donna a coprirsi dal velo al burqa e la “violenza” della società occidentale che obbliga le donne a spogliarsi.
Un’assurdità, un chiaro caso di delinquenza intellettuale: non si tiene conto che nei paesi occidentali una donna che va meno scoperta delle altre, al massimo, si tira dietro le risatine di critica di altre donne; in Arabia Saudita, Afghanistan, Iran, Oman, EAU ecc ecc se una donna desiderasse togliersi velo/burqua credo che avrebbe delle serie conseguenze fisiche/giuridiche.
Laicità è permettere a chiunque di fare quello che desideri senza dare fastidio agli altri.
Non so… Vorrei pensare che davvero l’evoluzione graduale verso il meglio sia sufficiente ad abbandonare certe tradizioni, ma mi pare che viceversa gli esempi in cui le normative hanno dovuto dare una mano ci sono. È un aspetto del discorso che ho fatto con un’amica sull’opportunità della tutela delle categorie svantaggiate, ivi comprese le quote rosa in parlamento eccetera: sì, il processo e la digestione sono lunghi e graduali, ma qualcosa deve costringere a ingoiare il boccone la prima volta, se no il processo ha poche possibilità di innescarsi. E quindi, dilaniato quanto lui, propendo per concordare con Ivan.
Sono d’accordo. Il velo integrale va vietato. Purtroppo pero la questione velo che, come saprai, può essere un chador, un hijab, un niqab o un burqa, sta stupidamente diventando la cartina di tornasole di uno scontro politico tipico del mondo globalizzato. Di fondo vi è un problema di ignoranza. Noi occidentali consociamo male i mondi – e non il mondo, si badi bene – di cultura arabo-musulmana. E ci facciamo infinocchiare con la stupidaggine del rispetto del loro credo religioso. Come se già non avessimo abbastanza problemi con le recrudescenze vaticane in un secolo che sarà ricordato come quello delle religioni. Intendo qui sfatare un “mito”. Nel Corano non vi è alcuna sura che imponga alle donne il precetto del velo integrale (burqa, niqab). L’hijab invece viene menzionato nella sura della Luce. Ma chi oggi legge i testi sacri, dicasi anche Bibbia, senza adeguati strumenti ermeneutici rischia di fare la figura dell’inquisitore medievale.
Personalmente non credo che a nessuno faccia piacere uscire con un sudario addosso, nero o blu che sia. Non credo si tratti di una libera scelta anche solo per la scomodità che causa. Anche questa in sostanza è una questione di equal opportunities. Ma è soprattutto un tema di confronto per chi pensa ad accoglienza e integrazione fuori da steccati ideologici e da becere ideologie multiculturaliste.
Mi scuso per la brevità e per l’accozzaglia della mai argomentazione. Ho cercato di essere sintetico affrontando un tema difficile e vasto sul quale non si dovrebbe fare l’errore di essere troppo brevi.