Il mio pezzo su “Europa”, oggi, per invitare tutti ad Acquapendente.
Dal 15 al 17 luglio ho invitato alcuni amici e tutti coloro che vorranno partecipare, ad Acquapendente (Vt), nell’Alta Tuscia, a discutere dell’idea del cambiamento.
Sarà più un evento di riflessione che un incontro politico: l’idea è che alcuni giornalisti, studiosi, scrittori, politici, artisti e cittadini possano fare un viaggio intorno all’idea della discontinuità, dell’innovazione.
È un incontro che nasce da un’urgenza, la mia, di riflettere su quello che mi pare un limite allo sviluppo e al progresso del nostro paese, così spesso prudente e conservatore. Il cambiamento, infatti, anche se lo eviti pervicacemente, qualche volta è lui che ti viene a cercare: è quello che verrebbe da pensare in questi giorni di tempesta finanziaria che sta mettendo in seria difficoltà il nostro paese.
Le priorità mutate dal fattore esogeno dell’emergenza stanno convincendo la nostra classe dirigente a modificare pratiche e stili operativi tradizionali e tipici della dialettica politica italiana.
Basta leggere i giornali e guardare i telegiornali per verificare come l’interesse nazionale messo a serissimo rischio dalla speculazione abbia costretto a mostrarsi la maggioranza più aperta e l’opposizione più costruttiva e come l’urgenza del momento abbia cambiato lo stile comunicativo dei leader politici così che, per una volta, gli appelli del presidente Napolitano per una politica meno partigiana non sembrano cadere stancamente nel vuoto. Anche la manovra sarà probabilmente approvata più in fretta e c’è da pensare che le forze politiche e sociali saranno meglio disposte al sacrificio sapendo che gli eventuali bocconi amari saranno ricompensati dal riuscire ad evitare il rischio – magari remoto ma non più soltanto teorico – di bancarotta del paese.
La cosa che viene da chiedersi è se ci fosse proprio bisogno dello shock provocato dalla caduta libera dell’Italia sui mercati per provocare questo sussulto di cambiamento, e più in generale per quale motivo l’Italia tenda mediamente a richiedere l’intervento di forze esterne per provare ad esplorare terreni nuovi e discontinuità rispetto all’abitudine.
Si fa un gran parlare di ricambio generazionale ma, a mio avviso, anche l’eventuale “rottamazione” dell’intera classe dirigente italiana non risolverebbe il problema. O meglio, avrebbe la funzione di un mero trattamento sintomatico senza avere nessun effetto sulla malattia: se la classe dirigente non cambia, questo è secondo me l’effetto e non certamente la causa del male italiano.
Se culturalmente non entriamo in confidenza con l’idea che “lasciare la via vecchia per la nuova” non sia un rischio eccentrico ed astruso ma una necessità (e anche, in fondo, un piacere), ad una classe dirigente inamovibile ne sostituiremo presto un’altra, senza peraltro nessuna garanzia che la seconda sia migliore della prima.
Preferire l’ebbrezza del mare aperto alle acque tranquille ma stagnanti del porto è un cambiamento che richiederà tempo e lavoro, a cominciare dall’entrare in confidenza con l’idea che mollare gli ormeggi sia un’idea buona e proficua.
Significa abituarsi l’idea che l’esperienza non è sempre preferibile al talento, per esempio. E che quindi, al momento di scegliere chi nominare per un incarico di qualsiasi genere, non si debba guardare subito alla lista delle cose fatte ma che l’elemento decisivo per scegliere debba essere invece il “potenziale” (e cioè l’attitudine di una persona a ricoprire diverse e maggiori responsabilità in futuro).
Significa avere una classe dirigente che abbia il coraggio di assumersi dei rischi, di proporre delle discontinuità, e che si assuma l’onere di spiegarle al paese. Vuol dire anche avere un senso forte della contemporaneità, in un mondo che corre molto veloce. Tutto questo significa, per esempio, che in una società più avvezza della nostra al cambiamento, il programma politico di un partito o di una coalizione non può assomigliare a se stesso di elezione in elezione. Il mondo del lavoro, il modo di amarsi e mettere su famiglia, anche il modo di nascere e morire oggi è sempre molto diverso da quello che era cinque anni prima.
Così quello che abbiamo proposto al paese nel 2008 non dovrebbe assomigliare molto a quello che proporremo alle prossime elezioni, se davvero abbiamo la capacità di comprendere appieno che, di questi tempi, il mondo cambia rapidamente in modo radicale: perché diverse sono le tecnologie, i rapporti tra le persone, le distanze geografiche, il flusso del denaro e delle informazioni. Ecco: di tutto questo parleremo a “Changes – la festa del cambiamento” (www.changesfest.net) tra la città di Acquapendente e i boschi della Riserva Naturale del monte Rufeno. Siete tutti invitati, vi aspetto.
2 risposte a “Changes, oggi su Europa”
[…] a leggere sul blog di Ivan) Tags: changes, changes la festa del cambiamento, la festa del […]
Ma del conflitto d’interessi britannico tra politica e media non parlate?
Guarda che e’ un argomento di scottante attualita’: la tua grande inghilterra non era poi cosi Grande come sembrava.
A volte si sbaglia a giudicare le cose e si prendono grossi granchi.